Ormai il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti ma spesso non se ne conoscono le vere cause.
Si sente parlare sempre più spesso di impatto ambientale, ma troppe volte basandosi su percezioni personali senza affidarsi invece ai numeri. Infatti per poter eseguire una valutazione il più oggettiva possibile dell’impatto ambientale è necessario affidarsi agli indicatori di impatto ambientale, che consentono di determinare, in modo quantitativo, i costi ambientali delle attività umane.
Oggi ti voglio parlare di un indicatore di impatto ambientale fondamentale per capire le vere cause del cambiamento climatico: l’impronta del carbonio!
Cos’è l’impronta del carbonio?
L’impronta del carbonio o carbon footprint, è un indicatore usato per stimare le emissioni di gas ad effetto serra ed è strettamente legato anche all’uso di energia.
I gas ad effetto serra sono tutti quei gas presenti nell’atmosfera in grado di produrre alterazioni del clima terrestre.
L’impronta del carbonio si riferisce però ai soli gas climalteranti (GHG – GreenHouse Gases) ossia i gas serra la cui concentrazione in atmosfera è direttamente legata all’azione dell’uomo (ad esempio industria, agricoltura, trasporti).
Tra questi gas i principali sono l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O). Le loro emissioni sono espresse come CO2 equivalenti (CO2 eq) o in percentuale dell’emissione totale di gas serra.
Per comprendere cosa sia questa unità di misura e come mai sia necessario utilizzarla dobbiamo prima chiederci se i diversi gas serra alterano allo stesso modo il clima terrestre.
La risposta è no, essi contribuiscono in misura diversa all’effetto serra e rimangono nell’atmosfera per periodi diversi.
Per valutare il tempo di permanenza di un gas in atmosfera si può utilizzare la sua emivita, ossia il tempo dopo il quale è ancora presente in atmosfera il 50% della quantità iniziale, oppure il tempo di vita medio, ossia il tempo dopo il quale è ancora presente in atmosfera il 37% della quantità iniziale.
Vediamo il tempo di vita medio dei principali gas serra presenti in atmosfera.
Il metano ha un tempo di vita medio di circa 15-20 anni e si azzera entro i 100 anni, il protossido di azoto di circa 150-175 anni e si azzera dopo 500 anni, mentre la CO2 di circa 50-100 anni ma rimane nell’atmosfera per migliaia di anni (il 10% rimane in atmosfera per molte decine di migliaia di anni).
Per poter confrontare l’effetto dei diversi gas serra, si usa il “potenziale di riscaldamento globale” (Global Warming Potential o GWP). Questo indice esprime il contributo al riscaldamento globale di una data quantità di gas serra, rispetto a quello della CO2, in un determinato periodo di tempo (20 anni, 100 anni o 500 anni). Per alcuni gas il potenziale di riscaldamento aumenta quando si considera un periodo di tempo più lungo, per altri gas diminuisce; questo dipende dalla permanenza dei gas nell’atmosfera.
Se si considera un periodo di 100 anni, il metano per esempio ha un effetto sul riscaldamento 28 volte superiore rispetto alla CO2 ma il suo effetto è più potente nel breve termine (fino a 85 volte peggiore, su un arco di tempo di 20 anni). Il protossido di azoto ha un potenziale di riscaldamento 265 volte superiore rispetto alla CO2 (di poco inferiore, su un arco di tempo di 20 anni).
Altri gas serra presenti in atmosfera sono i gas Fluorurati (F-gas): idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), esafluoruro di zolfo (SF6) e trifluoruro di azoto (NF3).
La maggior parte dei gas fluorurati presenta un elevato potenziale di riscaldamento globale. SF6 è il gas serra più potente e ha un effetto serra 23500 volte superiore alla CO2. Per quanto riguarda la loro durata in atmosfera hanno comportamenti diversi: da meno di un anno a decine di migliaia di anni.
Pertanto le emissioni dei diversi gas serra, per poter essere confrontate e quindi raggruppate nell’impronta del carbonio, devono essere convertite in CO2 equivalenti (CO2eq). Per fare ciò, le emissioni vengono moltiplicate per il rispettivo potenziale di riscaldamento. Il riferimento è la CO2 con un potenziale di riscaldamento pari a 1.
Ora che conosciamo meglio i gas serra presenti in atmosfera e il loro effetto sul riscaldamento del pianeta possiamo scoprire quali sono i maggiori responsabili delle emissioni in Italia.
Ma come sono ripartite le emissioni di gas serra in Italia?
Nel 2020 in Italia le emissioni totali di gas serra, espresse in CO2 equivalenti, escludendo il settore LULUCF (Land Use, Land Use Change and Forestry), sono state di circa 381 milioni di tonnellate.
In Italia l’anidride carbonica rappresenta il 79.3% delle emissioni totali espresse in CO2 equivalenti. Le emissioni di metano e protossido di azoto rappresentano rispettivamente l’11.2% ed il 5.1% delle emissioni totali in CO2eq. Infine i gas Fluorurati (HFC, PFC, SF6 e NF3) rappresentano il 4.4% delle emissioni totali (2020, ISPRA – Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale).
Da dove provengono queste emissioni di gas serra?
- Le emissioni di CO2 sono principalmente derivanti dal settore energetico (95.28%); in misura minore dai processi industriali (4.52%), dall’agricoltura (0.17%) e dai rifiuti (0.03%). Sono infatti principalmente il risultato della combustione di petrolio, gas naturale e carbone (combustibili fossili).
- Le emissioni di metano sono principalmente derivanti dall’agricoltura (45.06%), dai rifiuti (39.26%) e dal settore energetico (15.6%); in misura minore dai processi industriali (0,08).
- Le emissioni di protossido di azoto sono principalmente derivanti dall’agricoltura (66.3%) e dal settore energetico (21.65%); in misura minore dai rifiuti (8.85%) e dai processi industriali (3.2%).
- Le emissioni di F-gas derivano dai settori della refrigerazione (50%), del condizionamento (25.6%), dell’antincendio (10.1%), del mobile air conditioning (MAC) (9.4%), delle schiume (3.5%) e degli aerosol (1.4%).
In Italia la quota maggiore delle emissioni totali di gas serra va attribuita al settore energetico, con una percentuale pari al 78.4% (trasporti 28.6%, industrie energetiche 27.4%, residenziale e servizi 26.7%, industria manifatturiera 15.3%, fuggitive 2%), seguito dal settore dell’agricoltura e dei processi industriali che rappresentano rispettivamente l’8.6% e l’8.1% delle emissioni totali; il settore dei rifiuti contribuisce con il 4.9%. (2020, ISPRA – Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale).
Finora non abbiamo però considerato le emissioni e gli assorbimenti di gas serra del settore LULUCF (uso del suolo, cambiamento di uso del suolo e selvicoltura).
Il settore LULUCF ha la capacità di generare degli assorbimenti di carbonio, contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Si stima che nel 2020 il settore abbia assorbito 32401 Kt CO2 eq., principalmente grazie alle foreste (-30100 Kt CO2 eq.) e in misura minore grazie ai prati e pascoli o altre terre boscate (-7200 Kt CO2 eq.) e ai prodotti legnosi (HWP) (-700 Kt CO2 eq.).
Gli assorbimenti del settore LULUCF sono molto variabili poiché sono influenzati soprattutto dalle superfici percorse annualmente da incendi e dalle relative emissioni di gas serra, ed inoltre da nuovi insediamenti urbani. Le emissioni di questo settore nel 2020 sono state 5600 kt CO2 eq. (CO2 4911 kt CO2 eq., N2O 425 kt CO2 eq., CH4 263 kt CO2 eq.).
In conclusione individuare le principali fonti di emissione di gas serra e quindi i settori più impattanti è fondamentale per poter intervenire con delle strategie mirate.
Come abbiamo visto in Italia il settore con l’impatto maggiore sull’ambiente è il settore energetico. Le emissioni provenienti da questo settore sono costituite principalmente da CO2 (96.4%) e solo in minima parte da CH4 (2.2%) e N2O (1.4%).
L’anidride carbonica (CO2) può essere assorbita dalle piante grazie al processo di fotosintesi.
Il problema però è che l’emissione di questo gas da parte dell’uomo è maggiore rispetto a quanto può essere assorbito dalla natura. Per questo motivo è fondamentale ridurre le nostre emissioni di anidride carbonica in modo da raggiungere la cosiddetta “carbon neutrality” (o neutralità carbonica), ossia un livello di emissioni tale da poter essere assorbito dagli ecosistemi naturali.
Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario sostituire le fonti fossili con fonti rinnovabili. Inoltre, dato che le città sono le principali fonti di emissione di CO2, per contribuire a una riduzione delle emissioni è importante incrementare gli spazi verdi nelle aree urbane. Infatti più le piante sono vicine alla fonte di emissione più aumenta la loro capacità di assorbire anidride carbonica.
Infine, è importante ridurre contemporaneamente la domanda di energia, limitando i consumi e gli sprechi per non vanificare gli sforzi compiuti.
Tutti noi possiamo contribuire al raggiungimento di questo risultato modificando le nostre abitudini quotidiane.
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